Negli ultimi anni la Lipoproteina(a) ha guadagnato sempre più attenzione nel panorama della prevenzione cardiovascolare. Questa particolare lipoproteina è una molecola composta da proteine e grassi che trasporta il colesterolo e altri lipidi nel sangue.

E’ strutturalmente simile alle lipoproteine a bassa densità (LDL), che identificano il “colesterolo cattivo”, ma con una proteina aggiuntiva chiamata apolipoproteina (a) o apo(a). Se presente in concentrazioni elevate, rappresenta un importante fattore di rischio per le  malattie cardiovascolari, indipendentemente dai livelli di colesterolo LDL o dagli altri parametri lipidici che siamo abituati a valutare. Nonostante il suo ruolo cruciale, la Lp(a) non è tuttavia ancora parte degli screening di routine e la sua misurazione rimane poco diffusa anche a causa di una serie di difficoltà riscontrate nell’interpretazione corretta dei risultati delle analisi. Ciò nonostante e proprio in virtù del suo elevato valore predittivo nel lungo termine, l’interesse attorno a questa lipoproteina è in aumento e segue l’evoluzione delle conoscenze scientifiche. Tutto ciò sta portando questo marcatore al centro dell’attenzione dei clinici.

Essendo la sua concentrazione nel sangue determinata geneticamente essa rimane stabile nel corso della vita, il che la rende un ottimo biomarcatore per valutare il rischio cardiovascolare a lungo termine. Inoltre, si tratta di un dosaggio da effettuare anche solo una volta nella vita, al contrario di altri parametri predittivi che vanno monitorati nel tempo. In definitiva, i vantaggi conseguenti al dosaggio di questo marcatore, risiedono anzitutto nel fatto che i livelli elevati di Lp(a) sono stati associati a un aumento del rischio di infarto miocardico precoce, ictus ischemico e stenosi aortica calcifica.

Ma l’altro grande vantaggio è rappresentato dal fatto che a differenza del colesterolo LDL la lipoproteina (a) non risponde in modo significativo alle modifiche dello stile di vita o alla terapia con statine. Questi due aspetti stanno richiamando sempre più l’attenzione dei clinici relativamente al suo dosaggio per identificare i pazienti a rischio e valutare strategie terapeutiche mirate. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Uno degli aspetti più critici nella misurazione della Lp(a) è la mancanza di un metodo di riferimento universalmente accettato. Attualmente i laboratori utilizzano due differenti unità di misura: milligrammi per decilitro (mg/dL) o nanomoli per litro (nmol/L). Questo ultimo metodo è considerato più preciso ma non è ancora disponibile in tutti i laboratori. Data la differenza tra queste due unità di misura, è importante che chi interpreta i risultati sia consapevole del metodo utilizzato dal laboratorio di riferimento e interpreti correttamente i valori riportati. Ribadendo che non esistono valori universali per la Lp(a) si può orientativamente classificare il rischio cardiovascolare secondo tale schema:

< 30 mg/dL o circa 75nmol/L Rischio basso

tra 30 e 50 mg/dL O 75-125 nmol/L Livello borderline

> 50mg/dL o 125 nmol/L Rischio aumentato

> 125mg/dL o 250-300 nmol/L Rischio molto elevato

Concludendo, la Lipoproteina(a) rappresenta una nuova frontiera nella prevenzione cardiovascolare e la sua misurazione potrebbe diventare un parametro standard nella valutazione del rischio cardiovascolare. Conoscere le sue implicazioni cliniche e le sfide legate alla sua misurazione consentirà di fornire un supporto ancora più efficace ai pazienti e agli operatori sanitari, contribuendo a migliorare la prevenzione e la gestione delle malattie cardiovascolari.

A cura di Farmacie Comunali