Tutto da rifare. Sfumano gli 1,8 miliardi d’investimento per rinnovare l’aeroporto di Fiumicino, decongestionare lo scalo, rendere più moderna e funzionale una delle più importanti infrastrutture della Capitale.
Svaniscono centinaia di posti di lavoro e, soprattutto, un’occasione unica per ridare slancio a quello che sarebbe potuto essere un hub in grado di fare concorrenza a Parigi o a Londra, ma che rischia di rimanere un aeroporto di serie B. A cancellare il futuro di Fiumicino ci sta pensando il governo Monti, impantanato nei veti incrociati e nelle contese interne, dopo i colpevoli rinvii di quello targato Berlusconi.
A segnare, in senso negativo, la sorte dello scalo non è stato tanto il ministero delle Infrastrutture, che aveva già dato un ok di massima al progetto di sviluppo, ma quello del Tesoro fermamente intenzionato a non dare il via libera al contratto di programma, ovvero alle nuove tariffe aeroportuali chieste da Adr, la società dei Benetton che gestisce lo scalo romano.
Senza una prospettiva certa su questo fronte, hanno ripetuto fino alla noia i manager di Adr sia al ministro Corrado Passera sia al ministro Vittorio Grilli, resteranno nel cassetto i progetti di sviluppo, dalle piste alle sale d’imbarco, fino alla costruzione dei terminal di nuova generazione. Tutto fermo, bloccato, sospeso. Perchè oggi, salvo sorprese dell’ultima ora, l’esecutivo, in uno degli ultimi atti formali a sua disposizione, deciderà in maniera pilatesca di non decidere. Non dirà cioè un no definitivo alle richieste dei Benetton, peraltro negoziabili – e quindi allo schema previsto dal contratto di programma già approvato dall’Enac – ma nemmeno chiederà dei correttivi. Si limiterà a rinviare il dossier, lavandosene le mani.
Resteranno così nel limbo gli investitori, internazionali e no, che hanno impiegato risorse (socio di Adr è, tra gli altri, la prestigiosa società che gestisce l’aeroporto di Singapore) ed erano pronti a investire ancora nello scalo della capitale. E che faranno fatica a comprendere che senso abbia prorogare il vecchio regime contrattuale e regolatorio, anche in considerazione del fatto che le tariffe sono ferme da 10 anni. Soprattutto sarà complicato spiegare perché la Sea, la società che gestisce Malpensa e Linate, ha già ottenuto il via libera alle nuove tariffe mentre Roma resta misteriosamente al palo. Anche perché proprio dal Quirinale era venuto un invito pressante a chiudere la partita. Di fatto, al di là delle tecnicalità e dei dubbi dei dicasteri, Roma paga soprattutto il pressing della Lega. Che – grazie alla spinta dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti – ha ottenuto per la Sea il rinnovo della convenzione, ostacolando o quanto meno mettendo in secondo piano le esigenze, altrettanto legittime, che Adr ha rappresentato in questi anni di trattative. Inutile dire che l’ok è invece arrivato per la Serenissima e la Brebemi, convenzioni tutte legate a infrastrutture del Nord. Sta di fatto che a poche ore dal termine ultimo per definire il nuovo quadro, ovvero il 31 dicembre, l’impasse per Adr è totale. In tal modo, il maggior aeroporto italiano resta esposto a gravi danni sia economici (blocco degli investimenti e penali) sia di ricettività. Per non parlare del danno alla credibilità del nostro Paese verso i mercati internazionali. L’approvazione del contratto di programma avrebbe consentito di attivare un rilevante piano di investimenti con capitali integralmente privati (2,5 miliardi in 10 anni) e senza alcun onere per il bilancio pubblico.

 

(di Umberto Mancini – Il Messaggero)